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Immagine del redattoreSuor Cinzia

Voc-Azione



In genere si pensa ad una cosa per chi vuole diventare prete, suora o frate. La vocazione, cioè la chiamata. Vocabolo che in effetti si usa solo in certi ambienti, domanda rara tra i giovani, questione che pare non riguardare la maggior parte delle persone.


Perché dunque parlare di vocazione? Vorrei dare spazio all’arte per provare a rispondere, “spostandoci” a Roma nella chiesa di san Luigi dei Francesi. In una delle cappelle laterali troviamo una grande tela: “La chiamata di Matteo” di Caravaggio.


L’artista rappresenta la scena che troviamo nel vangelo di Matteo (9,9): “Gesù vide un uomo, seduto al banco delle imposte, chiamato Matteo e gli disse: «Seguimi». Ed egli si alzò e lo seguì.” Gesù chiama uno che riscuote le tasse per conto dei romani, spesso aggiungendo somme che poi trattiene per sé, un peccatore per il mondo giudaico.


Il Caravaggio immortala questa scena collocandola in una osteria, dove Cristo indica Matteo che è seduto al tavolo con un gruppo di persone, vestite come i contemporanei del pittore. Nel quadro la scena è in una fitta penombra tagliata da squarci di luce, che fa emergere visi, mani, o parti dell’abbigliamento e rende quasi invisibile tutto il resto.


Conosciamo Caravaggio per l’innovazione che ha portato nella pittura del suo tempo ponendo il significato delle sue opere in un gioco tra luce ed ombre, mettendo così al centro l’eterna lotta tra ciò che è limpido e ciò che è tenebra. Ma chi è Matteo fra tutte le persone raffigurate?


Alcuni esperti del Caravaggio per identificarlo partono dalla diagonale tracciata dalla luce che taglia in due lo spazio – la parte sopra illuminata, quella sotto in penombra - e da qui segnano una retta parallela che congiunge lo sguardo di Cristo e il volto del capotavola. Segnano poi una seconda retta parallela che parte dallo sguardo di Pietro (accanto a Gesù) e anche questa si collega al presunto Matteo.


Se le direttive spaziali hanno un significato, Caravaggio sta guidando il nostro sguardo verso quel personaggio, l’unico il cui volto è al buio, e per ciò rappresentato in un già e non ancora, tra il “seguimi” e l’“allora si alzò”: Matteo chiamato da Dio, ma ancora non alla sequela di Dio, “fotografato” in questo istante.


Anche per me il giovane seduto a sinistra della tela, è Matteo. Il suo corpo è come diviso in due dal tavolo: la testa ripiegata su un mucchietto di monete che guarda con intensità; il viso al buio, mentre sono illuminate la mano e una coscia; le gambe sotto al tavolo raffigurate in tensione, sembrano ai blocchi di partenza, pronte ad alzarsi in fretta.


Un Matteo diviso in due perché si è appena sentito rivolgere da Gesù l’invito a seguirlo, ma la testa gli dice che ciò che conta ce l’ha tra le mani: i soldi, fonte di ricchezza e di potere. Però le gambe sono pronte a muoversi, l’istinto gli ha fatto captare qualcosa di grande in quell’invito, qualcosa che può farlo emergere dal buio di cui è avvolto.


E Gesù? La sua mano, in modo speculare, è la mano protesa di Adamo nella famosissima scena della Creazione nella Cappella Sistina di Michelangelo. Gesù nuovo Adamo, nuova creatura, il Risorto, tende la sua mano verso Matteo in un invito: alzati, esci dalle tenebre e diventa nuova creatura. Un invito per ciascuno di noi, chiamato (vocato) ad alzarci dalle nostre zone, forse di comfort, ma forse anche di buio. La voc-azione, una possibilità

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