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Immagine del redattorePaolo Pagnini

Porto d’Europa



Mi è già capitato di scriverne e di parlarne. E ogni volta penso che le mie argomentazioni saranno presto superate dagli eventi. E invece no. Passano gli anni, e nulla cambia. Passano gli anni, cambiano i governi, e nulla cambia. Se non il numero degli sbarchi. E dei morti annegati. Quello aumenta. Aumenta sempre più. Aumenta, in modo spaventoso.


Talmente spaventoso, da diventare normale. Nelle tragedie c’è sempre quel rischio lì. Che un po’ per autodifesa, un po’ per assuefazione, si inizi ad accettarle come normali. E allora, facciamo così: facciamo che l’aspetto spaventosamente tragico delle migliaia e migliaia di morti annegati, anche bambine e bambini, per un attimo lo mettiamo da parte.


Facciamo che il cuore, e le emozioni, e le lacrime, le mettiamo per un attimo in pausa. Facciamo che ci ragioniamo su a mente fredda, e vediamo se esce qualche idea. Io ci ho provato, tanti e tanti anni fa. La gran parte di quelli a cui provavo ad illustrare questa idea o si arrabbiavano subito o sbiancavano e cambiavano discorso o la prendevano come una spiritosa provocazione.


E invece io non scherzo, e non provoco. Sono convinto che questo sarebbe l’unico modo civile e moderno e anche economicamente conveniente di gestire il tema dei flussi migratori, dell’immigrazione clandestina, dei barconi della speranza, degli scafisti, degli affondamenti, delle atrocità e delle morti in fondo al mare. Io farei così: organizzerei un gigantesco sistema statale di accoglienza e smistamento con i criteri generalmente adottati nel settore turistico.


I profughi li andrei a prendere direttamente sul posto, con grandi navi da crociera e li porterei in veri centri di accoglienza, nei quali confermare o ricostruire le identità anagrafiche, dotando tutti di nuovi documenti e creando un’unica grande anagrafe europea, ricca di dati in modo da poter avviare poi la ricerca di destinazioni adeguate e di eventuali ricongiungimenti familiari, con l’obiettivo di conoscere le intenzioni di ognuno, seguire e favorire spostamenti e trovare forme e modalità di inserimento.


Questo è possibile solo se tutti i paesi europei sono in sintonia. In questo modo si potrebbero mantenere tracciati i flussi e seguiti gli spostamenti, e isolando e circoscrivendo i malintenzionati, avere la possibilità reale di trattarli come andrebbero trattati tutti i delinquenti o aspiranti tali di qualunque nazionalità e provenienza.


Ci vorranno diversi anni. Mi immagino la costruzione ex novo di imponenti ed attrezzati complessi da adibire a centri di accoglienza o all’adattamento e messa a norma di ex strutture militari o altri stabili inutilizzati o mai completati, per continuare con la formazione specifica e l’impiego di centinaia di diverse figure professionali: addetti alle procedure di accoglienza e alla sicurezza, sanitari, psicologi, sociologi, interpreti, addetti alla gestione informatizzata dei dati. E naturalmente dei marittimi e di tutto il personale di bordo impegnato nella fase di imbarco, navigazione e sbarco. E, ovviamente, diplomatici ed esperti di diritto internazionale per la stesura degli indispensabili accordi.


In questo modo si restituirebbe a tutti la dignità di esseri umani e si potrebbe finalmente pensare ai flussi migratori per quello che in effetti sono. Gli esseri umani non hanno radici ma piedi (“CULTURA” - Marco Aime Bollati Boringhieri 2013). La maggior parte dei progressi evolutivi dell’umanità è arrivata attraverso spostamenti e migrazioni.

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