Alle origini della filosofia
Chi meglio dei bambini è capace di stupirsi e se, come sostiene Aristotele, il filosofo è colui che si stupisce di ciò che agli altri sembra scontato o evidente, chi meglio dei bambini ha diritto a filosofare?
A Pesaro esiste una scuola dove tutto questo avviene grazie alla passione e alla competenza di una docente che da anni applica con successo una metodologia denominata P4C (Philosophy for children): sigla un po’ bizzarra che dietro il simbolo esprime molto più di un concetto.
Alla Primaria delle “Piccole Ancelle del Sacro Cuore” in via Amendola dal 2008, ogni anno, la Prof.ssa Maria Rosa Tomasello anima (come lei stessa racconta nel volume, dallo stesso titolo recentemente pubblicato per i caratteri della Editrice “Affinità elettive”) una Palestra del Pensiero. Sviluppata dal filosofo americano Matthew Lipman negli anni ’70 del Novecento sotto l’influsso della Community of Inquiry deweyana e sostenuta dalla fine degli anni ’90 dalla Division of Philosophy dell’Unesco, la P4C si pone l’obiettivo di trasformare la classe in comunità di ricerca filosofica e ha già conquistato moltissime realtà scolastiche in tutto il mondo.
L’attività è garantita dal docente-facilitatore che, con le sue competenze filosofiche e pedagogiche, e l’habitus del filosofo-maieuta, aiuta i membri della comunità a sviluppare il pensiero complesso: critico, creativo e valoriale. Il pensiero così liberamente esercitato garantisce il raggiungimento di incredibili risultati: investigare il senso delle idee preconcette e delle assunzioni date per scontate, dialogare con gli altri imparando a collocarsi nell’altrui punto di vista e a cooperare alla ricerca comune del significato dell’esperienza, esplorare le problematiche emergenti in un’ottica trasversale e interdisciplinare.
A partire dallo spunto offerto dalla lettura di brevi racconti e sotto la spinta iniziale del facilitatore i bambini si avviano verso un processo di dialogo-confronto nel quale ogni idea ha dignità e senso, per giungere ad un risultato finale condiviso che non deve necessariamente coincidere con la verità assoluta bensì con la verità del /per il gruppo.
Sono dieci gli incontri, della durata di un’ora ciascuno, che la docente tiene con i suoi piccoli grandi interlocutori, tutti seduti in cerchio, nello spazio-forma, che per eccellenza simboleggia il dialogo con-diviso, dove nessuno, neppure (e soprattutto) l’adulto ricopre un ruolo predominante, ma nel quale ognuno e tutti hanno pari dignità.
Il luogo è pre-definito e denominato cioè identificabile, riconoscibile, autenticato perché è lì che, insieme, i piccoli “sapienti” “partoriscono idee”, fanno filosofia alla maniera socratica. Quella maniera che, avvalendosi della parola non scritta, non cristallizza il pensiero, non lo determina in sistema codificato e rigido, ma lo fa fluire, lo fa scorrere come scorre l’essere.
E allora i bambini vanno alla ricerca del “che cos’è?”, vanno cioè alla radice dell’essenza stessa della filosofia: che cos’è l’amore, che cos’è la verità, che cos’è il bene, che cos’è il male e così via alla scoperta del mio mondo, del tuo mondo, del nostro mondo, di quello che pensiamo e/o speriamo debba o potrebbe essere il mondo.
Poi le maestre avranno tempo e modo dopo, se ritengono opportuno, di “tirare le fila” dell’esperienza con un quaderno di rielaborazione che utilizzi altri linguaggi espressivi e che dia la possibilità di ripensare e autovalutare, fissando i concetti e creando mappe che non esprimono giudizi di merito o morali precostituite e quando lo fanno scoprono che i loro alunni hanno imparato molto più che dei contenuti, hanno imparato a saper ascoltare e accettare le opinioni degli altri, a fare comunità, a ordinare ed esprimere concetti, ma, soprattutto, hanno trovato “il senso”: hanno fatto filosofia.