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Immagine del redattoreMarta Scavolini

Perché l’Arte?

Un percorso tra l'Utile e il Bello



Potremmo iniziare con tre semplici quesiti e tre semplici risposte. Che cosa hanno in comune un dipinto, un brano musicale, una scultura, una cattedrale, una rappresentazione teatrale, una poesia e un film?


Apparentemente nulla. Perché quando si entra in un museo di arte contemporanea, spesso si prova una sensazione di smarrimento e incredulità, ci si domanda come è possibile che certi oggetti informi o addirittura di uso quotidiano possano godere della stessa considerazione della Primavera del Botticelli o di Amore e Psiche di Canova e si pensa che avremmo potuto realizzarli anche noi senza particolari difficoltà tecniche? Perché abbiamo difficoltà a capire.


A quale scopo comprare un biglietto per musei, teatri, cinema e luoghi d’arte in generale o iscriversi ad un corso magari di ceramica? Che cosa ce ne viene in cambio? A prima vista nulla di concreto, se non solo, forse, il riempire un tempo vuoto. Ma se, come ci invita la filosofia, ci fermassimo, anche solo un momento, a riflettere meglio, ci accorgeremmo che entrare nell’arte, in qualsiasi forma di arte, è sentire la vita, è crescere come persone in maniera empatica, è imparare, perfino, ad amare.


Tralasciando il valore di testimonianza storica che le opere artistiche portano con sé e i problemi legati al processo di mercificazione cui sono soggette (temi trattati il primo, per esempio, dal filosofo americano George Dickie, con un approccio molto pragmatico per giungere a definire che cosa è l’arte oggi, e il secondo, già nel 1947, dal filosofo tedesco T. Adorno in “Dialettica dell’Illuminismo “per rispondere al quesito se sia giusto o no vendere un’opera d’arte) è interessante notare che la filosofia dell’arte ha occupato un posto significativo, non di rado in connessione con l’etica e la religione, nei sistemi di alcuni grandi pensatori quali Platone, Aristotele, Hume, Kant, Schopenhauer, Nietzsche e Hegel. E un buon numero di altri autori tra cui Schelling, Croce, Dewey, Bergson, Sartre, Gadamer ne hanno fatto qua si l’asse portante della loro riflessione.


Questo perché le similitudini tra l’arte e la filosofia sono molteplici, nonostante il fatto che alla prima venga, generalmente, associata l’idea di un sapere unito ad una certa abilità, di natura, potremmo dire, manuale. Entrambe infatti sono prodotti dello spirito dell’uomo, ci invitano a guardare oltre noi stessi, ci offrono un contatto più profondo con la realtà, ci indicano uno sguardo morale, ci aprono alla verità e al bello. Alla verità della complessità del reale e della conseguente necessità di affrontarlo in modo non banale e al bello che è armonia perché viene dal bene (in latino bellus “bello” è infatti diminutivo di una forma antica di bonus “buono”).


L’esperienza artistica, vissuta da ciascuno secondo la propria sensibilità, ha due unicità: quella di essere appunto unica perché soggettiva ed irripetibile e quella di non avere un contenuto razionale (rispondere alle domanda: perché mi piace? È in fondo impossibile).


Come sostiene I. Kant: “Non si può dare nessuna regola, secondo la quale qualcuno sarebbe obbligato a riconoscer bella una cosa”, ma come ci suggerisce Dostoevskij “La bellezza salverà il mondo”. Fosse solo per questo dovremmo dare spazio, sempre maggiore, all’arte nella nostra vita e nella vita dei nostri giovani.

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