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Immagine del redattoreSpazio Bianco

Nonviolenza: il Pensiero di Gandhi ha Fallito

Aggiornamento: 16 set



«Mi oppongo alla violenza perché, quando sembra produrre il bene, è un bene temporaneo; mentre il male che fa è permanente». Gandhi


Quanto è attuale in questo momento il pensiero dell’avvocato indiano Mohandas Karamchand Gandhi? Nonviolenza e pacifismo. Due parole che anche se all’apparenza sembrano avere lo stesso significato, sono intrise di suggestioni diverse.


Mahatma (in sanscrito: grande anima), come fu poi definito a titolo onorario, predicò durante tutta la sua vita la nonviolenza come scelta religiosa e come per San Francesco il punto più alto del suo pensiero era il Dio dell’Amore.


Gandhi fallì. Lui stesso lo ammise nell’ultimo periodo della sua esistenza. Mentre un suo predecessore Immanuel Kant aveva già tutto previsto. Secondo il filosofo tedesco per un mondo di pace dovrebbero scomparire gli eserciti prima di tutto. Una provocazione? Una chimera? No.


Anche se può sembrare strano nel nostro pianeta ci sono ben 15 Paesi che vivono serenamente senza soldati pronti a difenderli o ad attaccare un pseudo nemico. Uno di questi è la Costa Rica. Ma la Costa Rica, pur essendo un territorio bellissimo, non ha petrolio, non ha diamanti, non è in una posizione geopolitica strategica.


La Costa Rica abbonda di verde e bradipi. Il mercato non c’è. Ecco perché rispetto al pensiero di Gandhi che riteneva, almeno nel primo periodo, che il genere umano ha una natura non violenta, Kant molto prima esprimeva la sua triste valutazione sulla natura umana considerata da lui non pacifica.


E allora tutte le guerre, i soprusi, le violenze non sono altro che conseguenze del Dna degli uomini e delle donne? Se così fosse sarebbe una sconfitta dell’umanità. Un suicidio collettivo. Quello che sta accadendo forse ne è una vigilia. I conflitti esistono perché c’è ricchezza, ci sono interessi economici, politici, sociali.


La violenza scoppia perché ci sono gli strumenti che la assecondano. Immaginatevi in un mondo ideale che chi fabbrica armi decida di smettere di farlo. Un’azione comune che costringerebbe l’industria della mitragliatrice a chiudere. Una favola. O la coscienza critica che diventa pragmatica, rivoluzionando tutto.


Un gesto di questo tipo ha un nome: nonviolenza che va oltre al pacifismo. È molto di più. È coraggio, è senso civico, è morale al cubo. Un sogno. Noi invece siamo molto vicini a un punto di non ritorno.


Certe considerazioni, certe buone pratiche avrebbero dovuto essere coltivate tanto tempo fa. Fin dalle scuole, nell’educazione, nell’inclusione, nel rispetto, nell’ascolto, nell’accoglienza, nell’amore. Soprattutto nella coesione di intenti. Nel dire «no» alle alleanze di interesse, nel dire «no» allo sfrutta mento.


Perché nonviolenza non è semplicemente astenersi, quella ha un altro nome: vigliaccheria. La non violenza, secondo Gandhi, non è mai neutralità, passività. È resistenza. Nessuno è pronto al sacrificio. È così che si rotola verso l’abisso.

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