LE TRE DOMANDE-CHIAVE COME BUSSOLE PER LA VITA
Il 22 aprile è una data importante nella storia della filosofia e quest’anno lo è stata ancor di più perché sono esattamente 300 anni dalla nascita di un genio: Immanuel Kant, un gigante del pensiero occidentale.
Tre secoli sono tanti e si potrebbe obbiettare che un pensatore cosi “datato” sia del tutto fuori tempo, ma proprio in quanto grande pensatore non lo è. Il pensiero, quando è un pensiero forte, travalica le mode e lo scorrere dei cambiamenti, fissando dei punti fermi che sono fermi per sempre. Un po’ come succede con le opere d’arte significative che definiamo appunti “immortali”.
E quindi qual è l’“immortalità” di Kant? Che cosa del suo filosofare ha a che fare con noi, oggi, donne e uomini proiettati verso il terzo millennio? Tre domande: «Che cosa posso sapere? Che cosa devo fare? Che cosa ho diritto di sperare?».
Questi sono i quesiti sui quali il filosofo ha costruito la sua ricerca e ai quali ha cercato di fornire una risposta, ma in fondo, se ci pensiamo bene, sono anche le tre domande-chiave attorno alle quali ruota tutta la nostra esistenza e che costituiscono i punti di partenza e anche di arrivo di quel lungo, ineludibile e complesso viaggio che è la vita.
Ciascuna singola vita e tutte le vite. Quando siamo bambini è verso il conoscere che siamo indirizzati perché dobbiamo imparare concretamente che cosa e quali sono le “cose” delle quali avremo certezza d’uso.
Quando siamo adulti è all’etica che siamo orientati perché dobbiamo scegliere tra il bene e il male per il nostro vivere in società Quando siamo maturi è al trascendente (cioè il divino) che ci rivolgiamo perché aumenta in noi il desiderio e la speranza di una vita dopo la vita.
Il filosofo ci fornisce, si diceva, delle risposte che sono tutte di natura razionale, ma per quanto siano perfettamente costruite non saranno mai, paradossalmente, così importanti come le domande.
In Kant i quesiti sono “perfetti”, perfetta la scelta dei verbi ausiliari che spingono dritto verso il giusto senso, ma, possiamo anche non rendercene bene conto, quelle stesse domande sono già presenti in noi, sempre, magari latenti. Le formuliamo con altre parole o in un modo implicito o le portiamo dentro senza averne consapevolezza.
Quelle domande sono sempre lì a ricordarci le caratteristiche del nostro essere uomini. Il desiderio di conoscere, la necessità di agire, l’anelito a qualcosa che non sia solo carne. Il filosofo ci aggiunge un pizzico di sale in più: l’uso della ragione. Ci ricorda che siamo uomini perché costituzionalmente essere pensanti e che di questa facoltà dobbiamo fare uso.
Quindi alle domande risponderemo razionalmente perché la ragione è lo strumento che ci appartiene: è il nostro strumento. È tanto nostro che noi ci fondiamo interamente su di esso e non su altro. Questo è il grande regalo che ci ha lasciato Kant: la consapevolezza di essere liberi nella nostra vita di poter/dover decidere.
In epoche come quella nella quale viviamo, che sembrano essere epoche di crisi vissuta come “sbandamento”, recuperiamo il significato originario della parola “crisi” che in greco (krisis) vuol dire “cesura” e in latino diventa “decaedere” ovvero “decisione”. Quando decido, compio una scelta, una scelta di vita. E oggi più che mai le scelte sono vitali.