In missione per conto di Dio. Questa volta non rimane solo il titolo della Rubrica, ma diventa il racconto di una esperienza vissuta pochi giorni fa: una missione nel Nord Italia, insieme ad altre suore e frati francescani. Una ventina in tutto. Per evitare che si possano riconoscere i soggetti non indichiamo il luogo preciso, anche perché sono convinta che quello che è accaduto in questo posto, possa accadere anche in altri luoghi.
Cosa vuol dire missione giovani? Essere missionari è portare il Vangelo, e cioè che siamo amati a tal punto da Dio che Egli dà la vita di suo Figlio per noi, che noi valiamo il sangue di Cristo. Oggi non si è missionari solo quando si va in qualche Paese lontano con lingua e cultura diverse, non serve andare lontano per trovare chi ha sete di questo messaggio, basta uscire di casa.
Dire a qualcuno: «Dio ti ama» e «sei amato senza “se” e senza “ma”, gratuitamente», è oggi come portare un annuncio a chi ha una lingua e una cultura diversa, perché abbiamo perso il cuore del Vangelo, la buona notizia che siamo amati. E così, nello specifico di una missione giovani, veniamo chiamati per andare nelle scuole, lungo le strade, nelle piazze, per incontrare appunto i giovani.
E veniamo a ciò che è accaduto in una di queste sere della missione. Suore e frati usciamo di chiesa, dopo aver pregato insieme, e ci sparpagliamo lungo le vie. Appoggiati ad un muretto vedo un gruppetto di “maranza”, che la Treccani definisce: “Giovane che fa parte di gruppi di strada, caratterizzati da atteggiamenti sguaiati e con la tendenza ad attaccar briga, riconoscibili anche dal modo di vestire (con capi e accessori griffati, spesso contraffatti) e dal linguaggio volgare”.
Mi avvicino e subito iniziano ad imprecare e mi investono con una serie di domande-affermazioni sulla Chiesa corrotta, ecc., finché uno di loro, che si capisce essere il capo, dice: “Perché Dio ha fatto morire il nostro amico?”. Silenzio. Chiedo allora cosa sia accaduto e mi raccontano dell’incidente avvenuto pochi mesi prima. Metto in atto le mie capacità di ascolto e soprattutto il desiderio di raccogliere questa loro ferita ancora aperta.
Il gruppetto si ferma a raccontare per più di un’ora, iniziano a tirare fuori le loro sofferenze. Mi consegnano tanto anche di loro stessi, aprono il cuore e io vedo ragazzi belli, carichi di bene. Non c’è più stata neppure una parola volgare nel parlare. Alla fine il ragazzetto che sembra essere il capo mi chiede se mi può abbracciare e lo seguono tutti gli altri. Mi confida che non avevano mai avuto una occasione così per tirare fuori il loro dolore, che gli ha fatto bene. Un momento toccante, commovente.
Ancora una volta sperimento che andando oltre le apparenze si aprono esperienze intense, vite che sembrano lontane che si saldano tra loro: “Ormai fai parte di noi” continuano a scrivermi. Ecco cos’è essere in missione per conto di Dio: il Vangelo che si fa carne, perché raggiunti dall’Amore la vita rinasce.