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Immagine del redattorePaolo Pagnini

La Cultura dei Titoli



Sembrava che la batosta globale del 2020, 2021 e 2022 ci avesse indotto a darci una calmata. Invece, a guardarsi intorno, la sensazione è che siamo tornati tutti ad essere sempre molto di fretta.


Sarebbe molto interessante scoprire come mai siamo di nuovo così di fretta. E anche cosa ne facciamo poi di tutto il tempo che, correndo tanto, riusciamo a risparmiare, ma questo è un altro discorso.


Il fatto è che questa fretta spesso, se non sempre, si trasforma in superficialità. Sono pochi quelli che sconfiggendo l’antico detto popolare (“presto e bene non vanno insieme”, dicevano i nostri anziani) riescono invece a fare sia in fretta che bene. Forse solo i professionisti sportivi della velocità. Mentre per tutti gli altri, dotati di normali riflessi, questa pratica si tramuta in non pochi disastri.


Il problema è che, a fronte di questa presunta esigenza di velocità, non corrisponde altrettanta abilità nell’uso di strumenti veloci. A volte poi, ci si mette anche la malizia, quando non la malafede e allora… Penso, per arrivare finalmente al punto dopo questo lungo e… lento preambolo, a quella che ho battezzato la “cultura dei titoli”, ovvero quella cultura, appunto, che si basa sui titoli degli articoli che, soprattutto sul web, stanno diventando la primaria fonte di informazione (i titoli, non gli articoli).


Scrivere un buon titolo è (sarebbe) arte sopraffina. Riuscire a sintetizzare in poche parole accattivanti il contenuto di un articolo, è (dovrebbe essere) un compito riservato ai migliori. Una volta qualcuno mi aveva svelato che proprio per questo motivo, spesso (sempre?) il titolo non viene scritto da chi firma l’articolo, ma da uno specialista incaricato di fare proprio quello.


Purtroppo però mi pare che succeda sempre più spesso anche al “titolista” di cadere vittima del demone della fretta, e dunque, capita di leggere accattivanti e fantasiosi titoli che poi vengono contraddetti e smentiti proprio dal contenuto dell’articolo.


Ma, siccome i lettori, soprattutto quelli che “si informano in rete” o che “studiano all’università della vita”, sono i più frettolosi di tutti, spesso l’articolo non lo leggono affatto ed ecco dunque che comincia a diffondersi una “cultura” basata sulla lettura superficiale di titoli altrettanto superficialmente ideati (e dunque, per così dire, a volte inesatti).


Potrebbe ricordare l’antico gioco del “telefono senza fili”, nel quale il divertimento stava tutto nella buonafede dei bambini e nelle loro risate alla scoperta di come la frase originaria si fosse trasformata per il solo fatto di essere sussurrata di orecchio in orecchio.


Oggi invece troppo spesso le notizie vengono urlate sotto forma di titoli nei quali abbondano termini ad effetto come “vergogna”, “umilia”, “degrado”, (a cui aggiungo l’orrendo “asfalta”) e dietro i quali frequentemente c’è invece ben poco di degradante, umiliante e vergognoso se non il sospetto di una astuzia maliziosa con la quale, contando sulla fretta e superficialità dei lettori, viene ideato, esibito e sbraitato il titolo stesso.

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