L’inseguimento
- Paolo Pagnini
- 15 gen 2024
- Tempo di lettura: 3 min

“Sono 126 miglia per Chicago, abbiamo il serbatoio pieno, mezzo pacchetto di sigarette, è buio… e portiamo tutti e due gli occhiali da sole”.
Inizia così uno dei più incredibili, rocamboleschi e spettacolari inseguimenti della storia del cinema, che da lì alla fine del film vede, a sirene spiegate, la distruzione di ben 103 automobili della polizia (acquistate appositamente dalla produzione), dopo che era già stato demolito un intero centro commerciale (un autentico “mall” appositamente affittato come set, e che dopo il film non verrà mai più ripristinato e riaperto).
Il film è “The Blues Brothers”, da diversi anni ormai entrato per imperscrutabili motivi a far parte della programmazione televisiva natalizia. Siccome è uno dei miei film “della vita”, anche quest’anno, mi sono goduto le battute, le musiche e, appunto, l’inseguimento, nel quale il regista John Landis si è divertito a fare la parodia di quello che era già ed è diventato sempre più un vero e proprio genere cinematografico (si pensi alla saga di Fast & Furious, o a Drive con Ryan Gosling, tanto per citare i primi due titoli che mi vengono in mente).
Ecco il punto. L’inseguimento in auto non fa parte del mondo reale; è un genere cinematografico, che appartiene alla categoria “film adrenalinici”. Per questo motivo resto stupefatto e un po’ sgomento quando all’improvviso, la fiction fa capolino nel mondo reale.
Già, perché incredibilmente, ogni tanto succede. Nel 2023 è successo anche dalle nostre parti, e almeno un paio di volte. E può capitare che vada bene, come appunto in alcuni film, ma anche, come in altri film, che vada male.
E in quel caso, diversamente dai film, il problema è che poi il sangue è vero e c’è chi non si rialza più dall’asfalto. Quello che voglio dire è che l’inseguimento in auto in mezzo al traffico, oggi non solo è pericoloso come una sparatoria e forse di più, ma è anche anacronistico, come un duello.
Una volta, nel lontano ovest di quelli che sarebbero diventati gli Stati Uniti d’America, lo sceriffo affrontava in duello il fuorilegge, e, se era bravo, estraeva per primo la Colt e lo freddava davanti a tutti, lungo la strada principale del paese. Ve lo immaginate oggi? Ecco, a mio parere l’inseguimento stradale è anacronistico come un duello.
In pratica, succede infatti che in mezzo ad un traffico intenso e sempre più anestetizzato da automobili sempre più automatizzate e da un codice della strada che non incentiva certo a perfezionare la propria tecnica di guida, si prende uno, fuorilegge per definizione visto che la legge l’ha appena violata non fermandosi all’alt delle forze dell’ordine, e, dando avvio all’inseguimento gli si consegna implicitamente la licenza di ignorare sistematicamente e ripetutamente ogni limite di velocità e regola di buon senso, in una gara automobilistica nella quale entrambi, inseguito e inseguitore, subiranno anche una bella impennata del proprio picco adrenalinico.
Il tutto in questa epoca nella quale esistono migliaia di telecamere di sorveglianza, droni, connessione costante, GPS e tutta quella serie di diavolerie tecnologiche che permettono di seguire le mosse di chiunque senza bisogno neppure di farglielo intuire. Anacronistico, appunto.
Può capitare, è vero, che chi sovrintende il tutto, il “regista del mondo”, chiamiamolo così, gestisca abilmente la faccenda riuscendo ad evitare che qualcuno si faccia male. E a quel punto è più che giusto, dopo aver tirato un bel sospirone di sollievo, lanciarsi in elogi e complimenti.
Ma, ribadisco, non si è sempre, come Jake ed Elwood Blues “in missione per conto di Dio”. E dunque, la mia opinione è che un genere cinematografico come l’inseguimento automobilistico, per quanto emozionante, è meglio che resti lì dove dovrebbe stare: dentro un film. Ricordando magari, questo sì, che più è grande lo schermo e più l’azione sarà spettacolare.