OVVERO DEL SILENZIO E DELLE SUE VIRTÙ
Il genere umano, sostengono gli scienziati, ha effettuato il suo “salto di qualità” quando, assieme alla manualità tecnica, ha perfezionato il linguaggio, quel sistema cioè di comunicazione che, essendo più raffinato, lo ha differenziato dagli altri animali, rendendolo, nella visione comune, superiore ad essi.
Ora, in ragione proprio di questa sua “superiorità” cognitiva, l’uomo dovrebbe dimostrare discernimento e capacità di valutazione, ma sembra che non sia così. Oggi, per esempio, quella di tacere, di saper tacere, è, infatti una pratica sociale fuori moda.
Tutto attorno a noi è rumore di parole, fiumi di parole (come nella “mitica” canzone degli anni ’90), parole urlate, parole sguaiate, parole come pietre, parole senza senso, parole con troppo senso, parole vuote, parole povere, sempre e troppo e ovunque: parole, solo parole (come in un’altra “mitica” canzone, questa degli anni ’70).
Tutti parlano anche quando non dovrebbero perché in realtà non hanno alcunché di importante o di sensato da dire. Nessuno che ascolti.
Nel XVIII secolo l’Abate Dinouart scrisse un libriccino (“L’arte di tacere”) che contiene una tesi (non solo dovrebbe esserci «un tempo per parlare», ma questo dovrebbe persino precedere il «tempo per parlare») e una serie di consigli (di cui alcuni veramente preziosi):
“È bene parlare solo quando si deve dire qualcosa che valga più del silenzio. Esiste un momento per tacere, così come esiste un momento per parlare. Nell’ordine, il momento di tacere deve venire sempre prima: solo quando si sarà imparato a mantenere il silenzio, si potrà imparare a parlare rettamente.”
Ecco il punto: imparare a parlare, nel senso del dialogare e nell’ottica del rispetto dell’interlocutore per evitare che la parola diventi bieca prevaricazione. L’oratoria fine a se stessa o, peggio ancora, il lancio delle parole come armi sono un modo assai poco progredito di colonizzare, asservire, abbattere l’altro.
Non certo una via per costruire rapporti. Come difendersi dalla valanga delle parole che tutto trascina con sé, il vero con il falso, il bello con il brutto, il bene con il male, in un indistinto che non fa luce perché crea solo caos? Con il silenzio che, se non ci è dato dagli altri, può essere dato da noi: spegnendo la tv ed i social in uno spazio-tempo che diventi solo nostro.
Sostituiamo il flusso verbale con un flusso interiore: ascoltiamo noi stessi, ascoltiamoci. Riscoprendo il valore dell’equilibrio impareremo l’architettura del dialogo e ci apparirà chiaro che il tacere non è la retorica della dissimulazione, ma la chiave della positività.
Come ci spiega il filosofo Carlo Sini: “Il silenzio sta nel cuore della parola, non è il suo contorno”. E il filosofo francese Merleau-Ponty ci parla dell’esistenza di fili di silenzio nel tessuto del linguaggio.
Il silenzio-ascolto rende possibile il movimento profondo e costruttivo di un dialogo-discorso vero.