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Immagine del redattoreStefano Quadri

Il Lungo Inverno Italiano (parte settima)



Nel 1743 il filosofo Diderot propose all’editore parigino, Le Breton, di pubblicare una Enciclopedia che raccogliesse tutto lo scibile umano, spiegandolo in un linguaggio chiaro e accessibile a tutti. Il primo volume uscì nel 1751. Vi presero parte, oltre allo stesso Diderot, anche Bacone, Cartesio, Voltaire, Rousseau, d’Alambert e molti altri filosofi, che sognavano di sostituire la scienza alla religione.


Quell’opera, che fu un vero e proprio potente colpo di piccone al Regime, “rappresentò la rivoluzione prima della Rivoluzione”. L’Enciclopedia riscosse un successo clamoroso in tutto il mondo. Fu tradotta anche in Italia, ma vendette molto poco rispetto agli altri Paesi, perché l’analfabetismo dilagava e la cultura continuava ad essere il privilegio di una piccola casta, chiusa nelle Accademie, e per di più completamente asservita al potere politico ed al potere economico, che rappresentavano proprio il bersaglio dell’Enciclopedia.


In Francia, oramai, tutti i filosofi concordavano su un punto: e cioè, che era venuto il momento di applicare la logica della ragione anche all’economia. E questa logica stabiliva che lo Stato si doveva limitare a garantire la vita, la libertà e la proprietà, ma non doveva entrare nei processi produttivi, che, invece, dovevano essere lasciati all’iniziativa dei singoli.


Questo, ovviamente, rappresentava un colpo mortale al principio della monarchia per diritto divino, proprietaria del Paese e svincolata da ogni impegno verso di esso. Questo è il motivo per cui questi filosofi vengono considerati gli anticipatori della Rivoluzione Francese.


La Francia, in quel momento, era sull’orlo della bancarotta ed il Ministro del Tesoro Turgot scrisse al Sovrano:” Per sanare la situazione c’è solo un modo: ridurre la spesa pubblica, e in misura tale che, alla fine di ogni anno, il conto si si deve chiudere con almeno 20 milioni di attivo. Altrimenti è il fallimento”.


Questo preavviso di rigore provocò la rabbia dei ceti privilegiati, che consideravano le finanze pubbliche una loro rendita privata. E così cercarono di infamare il Turgot, facendo girare la voce che era un rivoluzionario amico di Voltaire e Diderot, e che voleva distruggere le fondamenta del loro regime.


Era assolutamente vero e infatti, uno dopo l’altro, abolì tutti i privilegi e i monopoli sui quali vivevano tutti i parassiti di Francia. A furia di ridurre lo sperpero di denaro pubblico ridusse drasticamente il passivo dello Stato, ma il vecchio regime del privilegio ereditario e parassita, rappresentato dall’aristocrazia e dal clero, fece enormi pressioni su Luigi XVI, che non seppe resistere e obbligò Turgot a dare le dimissioni.


Federico di Prussia disse che, con quel licenziamento, la monarchia francese aveva firmato la propria condanna a morte. Voltaire scrisse: “Ora che Turgot se n’è andato, a me non resta che morire”. Nel prossimo articolo si parlerà della situazione italiana dopo il trattato di Utrecht del 1713.


(continua)

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