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Immagine del redattoreMarta Scavolini

Il Futuro alle Spalle

Ovvero Guardare Indietro per Andare Avanti


Recentemente l’Organizzazione Mondiale per la Sanità (Oms) ha voluto richiamare l’attenzione su un nuovo problema, coniando un neologismo “infodemia” che indica quale maggior pericolo per la società globale nell’era dei social media la deformazione della realtà nel rimbombo degli echi e dei commenti della comunità virtuale su fatti reali o spesso inventati. Mentre il prossimo anno a Roma si terrà il Congresso Mondiale della Filosofia.


Che cosa lega tra loro questi due eventi? Potremmo rispondere: “Nulla, assolutamente nulla!” Eppure è proprio di questi tempi che ci vuole più filosofia per leggere il mondo che cambia, è proprio oggi che l’antico può salvare il nuovo e ciò che va oltre il nuovo.


Basti pensare al modo in cui i nostri figli imparano a orientarsi nel mondo grazie allo smartphone che tengono sempre in mano. Forse non è il caso di preoccuparsi troppo. Forse non è un problema. O forse lo è e non ce ne accorgiamo o preferiamo, per mille motivi, non accorgercene.


L’era delle “comunità emo-tive”, nel le quali siamo ormai immersi sono veramente uno spazio di libertà, uguaglianza, crescita culturale e luogo di opportunità? O piuttosto, al contrario, una gabbia che ci impedisce di essere persone vere? Le società occidentali si sono finora considerate immuni dai pericoli degli sviluppi incontrollati della tecnologia che loro stesse hanno favorito, ma ora, come ci dice l’Oms qualcosa sta cambiando.


L’elevato numero di suicidi nella fascia giovanile registrato nel periodo della pandemia durante il quale è risultato giocoforza massiccio e fuori controllo l’utilizzo dei social media è stato il primo campanello d’allarme seguito dalla crescita esponenziale della richiesta d’aiuto a psichiatri e psicologi come se fosse ovvio che per crescere si debba sempre tutti necessariamente ricorrere al sostegno degli specialisti.


Il problema di fondo è che questa “quarta rivoluzione industriale” o “rivoluzione 3.0” ci è sfuggita di mano o forse abbiamo voluto che ci sfuggisse di mano, illudendoci che il concetto di progresso equivalesse tout court ai concetti di felicità e benessere.


Ormai che ne fossimo consapevoli o che ne siamo stati tratti in inganno poco conta: l’essenziale è fermarsi, ora, a riflettere per capire bene cosa fare. Lasciare che tutto proceda così o invertire la rotta?Delegare alla tecnica il ruolo da protagonista o ri-costruire uno spazio umano che dia alle persone la possibilità di sentirsi persone?


Il pensiero critico in questo può aiutarci perché è in grado di fornirci gli strumenti atti a discernere tra ciò che è vero e ciò che non lo è, tra ciò che è utile e ciò che non lo è, tra ciò che è buono e ciò che non lo è. Ma al pensiero critico bisogna essere educati e qui entrano in gioco il sistema scolastico e quello dell’informazione-comunicazione che tanto, tutto, possono fare per offrire a tutti le chiavi necessarie ad affrontare e gestire con prontezza le sfide dei cambiamenti.


Non si tratta di denigrare il progresso, bensì di controllarlo e guidarlo verso mete che siano compatibili con i veri bisogni vitali. Si tratta di analizzare quello che giustamente, già dal 1979, anno della pubblicazione della sua opera “La condizione post-moderna: rapporto sul sapere”, il filosofo francese Jean Francois Lyotard ha definito il “mito del progresso”.


Si tratta di “sollevare il velo di Maya” ovvero liberarsi dalle illusioni perché oggi l’uomo post-moderno non può più permettersi di essere un Prometeo cieco, lottare cioè solo per il progresso fine a sé stesso, ma deve es sere un Prometeo “letterale” (“colui che riflette prima”): in questo modo non si avvererà la profezia di Mary Shelley e del suo “Frankestein”.

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