La Guerra dei Trent’anni segna un punto di svolta ed avvia un grande declino per l’Italia con profonde conseguenze politiche, economiche e sociali.
Gli interessi commerciali si sono spostati dal Mediterraneo all’Oceano Atlantico e per Venezia inizia un lento declino. Il Papato, che un tempo aveva esercitato un’enorme influenza politica ed ecclesiastica, si riduce a uno dei tanti stati italiani, perdendo la sua supremazia.
Nel frattempo, nel Centro-Nord Europa, si sono formate le prime Nazioni moderne con classi dirigenti emergenti. Inizia la grande avventura capitalistica e coloniale che offre grandi possibilità per chi è dotato d’iniziativa. Inglesi e olandesi, anziché aspirare a diventare “funzionari”, mirano a diventare armatori, a impiantare fabbriche e ad ottenere il controllo dei commerci con l’India.
Anche gli spagnoli e i portoghesi hanno un vasto sbocco in America Latina, dove possono accaparrarsi miniere e terreni. In contrasto gli italiani vivono in piccoli mondi asfittici e senza sbocchi. La loro ricchezza è investita principalmente in terre agricole che producono scarsi profitti, e le uniche possibilità per le classi privilegiate è quella di accedere a qualche incarico pubblico.
Questa situazione alimenta “la sete del posto” che caratterizza gli italiani, soprattutto nel Meridione. Nacque in quel periodo lo “strano concetto che gli italiani hanno del posto pubblico: non come di un servizio al cittadino, ma come di una greppia o licenza di sfruttamento”.
L’accesso a un incarico pubblico spesso era ereditario e chiunque godesse di questa esclusiva lo difendeva strenuamente da qualsiasi intrusione da parte di estranei. Questo sistema rendeva la società italiana sclerotica e carente di rinnovamento. Dai vertici del Papato ai signorotti locali che governavano le varie regioni d’Italia, tutti erano prigionieri di queste mafie e camorre che tramandavano, di generazione in generazione, il diritto di abusare del loro potere.
La situazione in Italia era caratterizzata da una mancanza di dinamismo e da una società stratificata, in cui il potere politico ed economico era concentrato nelle mani di pochi privilegiati; mentre la maggior parte della popolazione era costretta a vivere in condizioni di povertà e sfruttamento.
Questo periodo segnò un cambiamento significativo nella storia italiana, creando un divario sempre più ampio tra l’Italia e le potenze emergenti dell’Europa settentrionale. I difetti della società italiana erano profondamente radicati nel sistema feudale che la Spagna e la Chiesa della Controriforma avevano anacronisticamente ripristinato, mentre nel resto d’Europa si stava procedendo alla sua liquidazione.
Questa società, basata sul privilegio ereditario, sminuiva il valore del lavoro, ponendo in cima alla gerarchia non il produttore, ma colui che viveva di rendita. L’Italia, che fu un paese industriale fino alla metà del Cinquecento, si trasformò in un paese prevalentemente agricolo.
(segue nel prossimo numero)