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Il Congresso di Vienna

Immagine del redattore: Stefano QuadriStefano Quadri

 I PARTECIPANTI AL CONGRESSO DI VIENNA, 1814-1815 _ FONTE: ANSA
 I PARTECIPANTI AL CONGRESSO DI VIENNA, 1814-1815 _ FONTE: ANSA

La sconfitta di Napoleone a Waterloo, nel febbraio 1815, consentì alla “Santa Alleanza” (Russia, Inghilterra, Austria e Prussia) di ripristinare l’ancien régime pre-illuminista sconsacrato dalla Rivoluzione Francese.


Sfortuna volle che fu l’uomo forte Metternich, primo ministro austriaco, a decidere le sorti del nostro Paese, che egli amava definire ”un’espressione geografica”. Egli credeva solo a due classi sociali, i nobili e i contadini, ed aveva in antipatia le borghesie cittadine.


Il Congresso di Vienna del 1815, che va sotto il nome di Restaurazione, fu un capolavoro diplomatico del Metternich, e l’Italia ritornò al passato:

• il Piemonte ai Savoia;

• il Lombardo-Veneto sottomesso all’Austria;

• il Granducato di Toscana al nipote dell’Imperatore d’Austria;

• lo Stato pontificio restituito a papa Pio VII (ex pri gioniero di Napoleone), il cui viaggio verso Roma fu una marcia trionfale. Alle porte di Roma i nobili lo portarono a braccia fino a San Pietro, davanti ad una folla raggiante. Venne cancellato quanto fatto dai francesi (leggi semplici e chiare) e reintrodotto il caos di leggi contraddittorie e di privilegi;

• il Regno delle Due Sicilie ai Borboni.


Era un intollerabile ritorno al passato, ma c’era qualcuno che non accettava più questa Italietta divisa.


Napoleone ci depredò e fece di quella italiana un’economia quasi esclusivamente agricola, però fece costruire in Italia moltissime strade, per cui iniziò ad esserci una consistente emigrazione interna, impose a tutti gli Stati Italiani le stesse norme legislative ed amministrative, che ebbero un effetto unificatore, anche se l’Italia non esisteva ancora, ed introdusse la leva obbligatoria, che fu considerata un’angheria e ci furono parecchi casi di diserzione.


Madame de Stael scrisse “Gl’Italiani non hanno virtù militari perché non hanno patria. Hanno mancanza delle idee di onore e di dignità su cui si reggono non soltanto gli eserciti, ma anche i popoli”. Foscolo rincarò la dose: “se non sapete combattere, siate servi e tacete”.


Ciononostante nel 1813 l’esercito italico arrivò a 90.000 uomini ben addestrati. Molti morirono nelle campagne Napoleoniche, ma furono i reduci di queste campagne, messi per castigo in congedo dai regimi della Restaurazione, ad alimentare i focolai insurrezionali accesi dalla Carboneria e dalla “Giovane Italia”.


“Erano troppo pochi per trasformare l’Italia in una nazione, ma furono abbastanza per farle capire che era debole e che per questo era divisa e schiava. Ma se un Risorgimento ci fu, lo si deve soprattutto a questi uomini e al loro sacrificio”.


Anche i giovani intellettuali iniziarono ad accorgersi che solo un’Italia nazionale avrebbe potuto ritrovare il rango che aveva avuto fra il Tre e il Cinque cento quando era il faro dell’Europa, mentre ora ne era solo il fanalino di coda. Ma questa coscienza era solo di una sparuta minoranza che purtroppo, come vedremo, non seppe coinvolgere il popolo, perché non ne aveva né l’abitudine, né il linguaggio, né l’umiltà.

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