
LA FILOSOFIA DI FRONTE ALLA REALTÀ “FLUIDA”
Uno dei più grandi pensatori che l’Occidente ab bia mai “prodotto”, Georg Wilhelm Friedrich Hegel, filosofo tedesco vissuto tra il XVIII e il XIX sec., sosteneva che la “Filosofia è il proprio tempo appreso con il pensiero”, ovvero che il compito di tale disciplina è quello di interpretare in maniera critica il momento che lei stessa sta vivendo.
Chissà quindi quale filosofia egli avrebbe prodotto se fosse vissuto oggi nell’era della I.A. Si sarebbe schierato, utilizzando la felice distinzione coniata da Umberto Eco nel suo famoso saggio del 1964, tra gli apocalittici o tra gli integrati? Avrebbe cioè assunto un atteggiamento di distacco, se non di rifiuto, verso questo nuovo strumento o al contrario lo avrebbe accettato, in maniera ottimistica, come “meraviglia” del progresso?
Ovviamente impossibile a dirsi se non nel campo della mera congettura, esercizio del tutto inutile a fini pratici. Quel che è certo è che i filosofi di oggi si sono ritrovati, quasi inaspettatamente, di fronte ad un enorme problema e sembrano, generalmente, poco “attrezzati” per affrontarlo, quasi che la cosa stesse loro sfuggendo di mano.
Potremmo dire che sono un po’ “fuori tempo”: pochi gli autori che trattano la questione e troppo deboli le loro voci. Eppure il tema non è un tema di poco conto: tutt’altro. Le implicazioni dell’uso/abuso della I.A. sono enormi, di portata epocale.
Non si tratta semplicemente di cambiare uno strumento con un altro, si tratta di un cambio di paradigma totale, di una nuova rivoluzione, sociale, economica, politica e quindi culturale, dopo quel le della prima e seconda fase industriale e quella dell’avvento dell’informatica. Solo che questa volta il ritmo del cambiamento è talmente rapido da sembrare ingestibile. La filosofia quindi non può più tacere, non può la sciare che a parlare siano solo gli scienziati “pentiti”.
Come il premio Nobel per la Fisica Geoffrey Hinton considerato, assieme all’altro vincitore John Hopfield, padre della I.A., che nel 2023, dopo più di un decennio, si era dimesso da “Google” così da poter parlare più liberamente e senza conflitto d’interessi dei rischi dell’intelligenza artificiale, cosa che poi non ha più smesso di fare anche ora che ha vinto il prestigio riconoscimento, dichiarando che l’I.A. è una creatura della quale si è perso il controllo. O come alcuni politici e uomini delle istituzioni quali il nostro Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che non perde occasione di sottolineare come “Le democrazie siano fragili di fronte ai domini tecnologici”. Eppure già nel lontano 1950, il grande matematico inglese Alan Turing, fondatore dell’informatica, si era posto, in un articolo pubblicato sulla rivista scientifica “Mind” dall’emblematico titolo “Computing Machinery and Intelligence” la domanda-chiave: «Le macchine possono pensare?»
Possono cioè sostituirsi completamente all’uomo e perfino sottometterlo? Le plausibili implicazioni non sono solo di natura economica (quanti posti di lavoro si perderanno e riusciremo a compensarli?), ma anche politica, come quella appunto richiamata da Mattarella (a chi spetta gestire l’I.A. nel suo complesso? Alle grandi Multinazionali, e quindi ai privati, come, più o meno, è attualmente o agli Stati che dovrebbero avere, per lo meno, un efficace diritto di controllo?) e, per ultimo, ma non ultima, etica.
E sono proprio questi due i settori nei quali la filosofia dovrebbe far sentire la propria voce: quale aiuto offrire all’uomo e alla società nel suo complesso per affrontare al meglio la realtà che sta mutando così vorticosamente e, al momento, in maniera troppo confusa? Come dare a tutti gli strumenti critici per non avere paura dei, ma anche per non accettare, passivamente, i cambiamenti? Appurato che, ormai, è impossibile fermare il mutamento (se sarà progresso o meno lo potremo valutare solo nel futuro prossimo) è assolutamente necessario però governarlo con “saggezza”. Con la saggezza che non guardi esclusivamente agli interessi economici.
Se è vero che l’I.A. può migliorare di molto la vita di tutti noi (si pensi per esempio alla medicina diagnostica) è altrettanto vero che può procurarci danni enormi: come la diffusione generalizzata di un pensiero uniforme di bassissima qualità se non del tutto privo di qualsiasi veridicità o addirittura portatore di disvalore e la trasformazione della percezione della realtà che ci sta attorno.
Cominciano, per esempio, ad aumentare in maniera preoccupante i casi di utenti che si “creano” famiglie virtuali con chatbot “vivendo” con loro come fossero “vere” e fioriscono iniziative paradossali come quella proposta all’interno della Cappella di San Pietro a Lucerna, in Svizzera. Si tratta del programma digitale “Deus in machina” che ha inserito nel confessionale, al posto del sacerdote vero, un ologramma di Gesù animato da intelligenza artificiale. Sebbene l’interazione con questa tecnologia non possa ovviamente essere considerata una confessione formale, i visitatori sono però messi in grado di condividere pensieri e domande con l’I.A., che risponde ispirandosi ai principi cristiani. Già molti fedeli l’hanno “testata” trovandola “rassicurante” e “disponibile h24”.
I responsabili della diocesi hanno spiegato che si tratta di una provocazione mirata a stimolare la riflessione critica sui limiti della tecnologia nella società contemporanea, ma, al momento, i consensi sembrano essere maggiori dei dissensi. L’I.A. è quindi già prepotentemente presente tra noi, più di quanto crediamo, sappiamo o riusciamo a percepire. È dentro le nostre scuole, in maniera sempre più massiccia, è dentro ogni aspetto del nostro vivere quotidiano e se, non ci fermiamo ora a discuterne con serietà, ne saremo completamente presi.
La macchina può e deve essere solo un aiuto per l’uomo; il pensiero, la libertà e l’etica devono rimanere prerogativa esclusiva dell’umanità.