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Immagine del redattoreMarta Scavolini

Filosofia: genere Femminile

Ma solo grammaticalmente



A dispetto del fatto che la parola filosofia nella lingua italiana, curiosamente, sia di genere femminile, tutti i programmi e tutti i manuali di storia della filosofia sono costruiti sul tradizionale “canone” a totale carattere maschile. Provare per credere.


Quando le donne vengono menzionate, assai di rado, lo sono magari in riferimento a una controparte maschile con cui hanno lavorato o, Dio non voglia, hanno avuto una relazione. Così è difficile riconoscerle per delle vere filosofe, in senso stretto, e si è inevitabilmente portati a credere che non ne siano mai esistite. Tutt’al più vengono “etichettate” come pensatrici o poco altro.


In verità le donne sono sempre state filosofe, lo erano senza poterlo essere in quanto veniva negato loro di studiare e di avere spazio pubblico nel dialogo e nella speculazione. Il mondo per questo ha perso migliaia di forti personalità inespresse che forse avrebbero anche potuto imprimere alla storia umana un altro corso.


Inutile ormai chiederci cosa sarebbe accaduto se lo spazio della filosofia fosse stato aperto a tutti, certo invece che, se il mondo in cui viviamo non avesse giudicato pazze, isteriche o diaboliche le donne che volevano studiare, non avremmo avuto, come al contrario è successo, le “dimenticate”, le “osteggiate”, le “eliminate” (da Ipazia, barbaramente trucidata ad Alessandria d’Egitto nel 412 d.C. ad Edith Stein, prima osteggiata dal sessismo del collega Husserl e poi gasata ad Auschwitz dal razzismo dei nazisti nel 1942).


Nel mezzo, in tanti secoli, filosofe che coraggiosamente hanno sfidato la misoginia imperante e l’ipertrofico desiderio di potere degli uomini per i quali una donna che pensa era (è?) un abominio. La donna non poteva che essere o Eva (peccatrice, posseduta dal demonio) o Madonna (madre, sposa, meglio se santa e asessuata-mistica). Altro non doveva essere dato.


Illuminante in tal senso l’analisi compiuta da Simone de Beauvoir, nell’introduzione a “Il secondo sesso”, importante testo filosofico di 800 pagine pubblicato nel 1949:


“Un uomo non comincia mai col classificarsi come un individuo di un certo sesso: che sia uomo, è sottinteso. È pura formalità che le rubriche: maschile, femminile appaiono simmetriche nei registri dei municipi e negli attestati d’identità. Il rapporto dei due sessi non è quello di due elettricità, di due poli: l’uomo rappresenta insieme il positivo e il negativo al punto che diciamo “gli uomini” per indicare il genere umano, il senso singolare della parola vir essendosi assimilato al senso generale della parola homo. La donna, invece, appare come il solo negativo, al punto che ogni determinazione le è imputata in guisa di limitazione, senza reciprocità (...).


La donna si determina e si differenzia in relazione all’uomo, non l’uomo in relazione a lei; è l’inessenziale di fronte all’essenziale. Egli è il Soggetto, l’Assoluto: lei è l’Altro” Certo un “altro” non più potente e superiore, non trascendente, se non nella mielosa e mistificatrice retorica dei cioccolatini di S. Valentino (l’altra metà di me o l’altra metà del cielo, il gentil sesso).


Questo deve fare la filosofia oggi: rivelare, in modo spietato, i limiti del grande patrimonio della storia del pensiero occidentale; deve la ragione, kantianamente, criticare sé stessa. Questo deve fare il femminismo oggi: non trasformare le donne in una “razza in via di estinzione“ elemosinando l’ancora di salvataggio delle quote rosa, ma, costantemente, alzare la bandiera del pensiero femminile.

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