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Immagine del redattoreSuor Cinzia

Don Milani, una Chiesa “Natalizia”



Il 27 maggio è stato il centenario della nascita di Don Lorenzo Milani (1923-1967). Lorenzo, fa parte di una laica, raffinata, ricca e colta famiglia fiorentina di scienziati e cattedratici che conosce bene il valore della cultura.


La sua figura è legata in prevalenza all’esperienza di insegnamento rivolta ai bambini poveri nella disagiata e isolata scuola di Barbiana (FI), dove si reca nel 1954 con l’incarico di priore.


Una vera e propria punizione per questo prete scomodo, che però darà vita alla Scuola di Barbiana. Un impegno che manterrà fino alla morte per formare i ragazzi, sviluppandone coscienza critica e personalità.


Don Milani era un prete che aveva deciso di servire Dio nel modo più completo, dopo che da adulto si era convertito al cristianesimo. La dimensione religiosa era l’aspetto fondamentale di tutta la sua vita e del suo agire e tutto il suo operato va ricondotto a questa scelta profonda di Dio.


A Barbiana con i suoi allievi scrisse Lettera a una professoressa (1967), divenuto testo centrale nel dibattito sulla scuola. Don Milani credeva nella parola come principio di uguaglianza.


La sua vicinanza ai più poveri fu una lotta di emancipazione, nell’idea che la conoscenza e la padronanza del linguaggio ci danno una possibilità di riscatto nella società. La sua esperienza di educatore ha segnato un solco dove si è inserita una visione alta di Chiesa, di scuola, di democrazia.


Perché ricordarlo ora in questo tempo che ci prepara al Natale? Perché è un esempio di quella Chiesa che vive il Vangelo dell’Incarnazione: ciò che è piccolo diviene grande. A Barbiana non c’erano strade, acqua, luce, scuola. La popolazione ammontava a 120 persone, una ventina di case isolate sparse nel bosco.


Da questo luogo di contadini analfabeti si è acceso un faro per il mondo intero, come modello di educazione e di vita. Leggiamo nel Vangelo di Giovanni: “Da Nazaret può mai venire qualcosa di buono?” Parafrasando possiamo dire: “da Barbiana può mai nascere qualcosa di buono?”


La storia si ripete: da quel Dio che si è umiliato e fatto bambino, tanti seguendo i suoi passi si sono fatti accanto all’uomo, all’uomo più povero, o impoverito, e quel luogo da un nulla è divenuto un faro.


“Su una parete della nostra scuola c’è scritto grande: I CARE. Mi sta a cuore”. Don Milani fa suo il motto di Martin Luter King, per dire di un Dio che non se ne sta in alto nei Cieli per i fatti suoi, ma viene e si sporca le mani. Una visione di società dove al centro vi sono giustizia e libertà, dove il fine ultimo del nostro impegno quotidiano sia il superamento delle diseguaglianze. Ancora oggi fin troppo indispensabile.


Non è più il tempo di stare seduti a criticare, né la Chiesa, né altra istituzione, perché “il tempo si è fatto breve” (san Paolo, come leggiamo in Avvento), perché “I care” non è nato per essere uno slogan, ma una realtà concreta. È ora di sporcarsi le mani, di esserci, perché lo sappiamo: a parlare son buoni tutti. “I care”… un modo bello di prepararci al Natale.

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