TRA NEGAZIONISMO E CATASTROFISMO
Che si tratti di fatti personali o della cronaca sociale di ogni giorno o dei grandi eventi che hanno il potere di cambiare il cammino dei popoli, l’uomo tende a conservarne memoria e a farne narrazione cioè racconto. I Latini usavano una espressione “Historia rerum gestarum” ovvero “Storia delle cose compiute” che rende bene il concetto che sta dietro a questo atto del ricordo-conservazione-trasmissione di ciò che è stato, per non perderlo.
Ma questo porta con sé un problema di fondo: quanto è oggettiva la Storia che narriamo? Quanto corrisponde al vero ciò che raccontano i testi, i mass-media, la società e noi stessi? Quasi tutto dipende da due fattori che sono, in prima istanza, l’onestà intellettuale e, in seconda battuta, la risposta che viene data alla domanda “quale senso ha la storia”.
Per il primo elemento poco o nulla si può fare se lo scopo di coloro che raccontano è quello di strumentalizzare l’esistenza stessa dei fatti storici. Esempio estremo di questa posizione è il cosiddetto negazionismo, atteggiamento che appunta nega o muta, al di là e contro ogni qualsivoglia comprovata certezza, l’accadimento di alcuni eventi. Questa non è serietà, questa non è scienza della storia.
Il secondo elemento ha a che fare con la filosofia della storia e le teorie da essa elaborate che possiamo riassumere in tre modelli fondamentali: “la storia è sviluppo provvidenziale” cioè è regolata da leggi interne o di natura razionale o di natura divina; “la storia è progresso” posizione questa che legge lo svolgersi dei fatti in chiave ottimistica per cui il cammino dell’uomo è sempre e comunque positivo e porta solo arricchimento in senso lato; “la storia è civilizzazione” ovvero una interpretazione negativa della teoria precedente, secondo la quale il progresso è qualcosa di negativo perché ci allontana da una ideale condizione originaria caratterizzata da uno stato di armonia tra l’uomo e la natura.
Questa terza posizione è stata fatta propria da molti movimenti ecologisti che, in alcuni casi, l’hanno spinta verso derive catastrofistiche, ipotizzando una inevitabile fine del mondo sempre più prossima. Tutte le situazioni estreme, dal negazionismo al catastrofismo, rischiano di allontanarci da quello che dovrebbe essere l’obiettivo sociale e pedagogico dell’approccio alla storia.
Poiché essa ricopre un ruolo importantissimo nella formazione del cittadino, l’insegnamento e la divulgazione della Storia devono essere centrali, oggettivi e trasparenti. Solo chi conosce il passato è in grado, responsabilizzandosi, di farsi costruttore e narratore consapevole di un futuro pieno di senso. Ecco il “senso”: ovvero la necessità di agire non per opportunismo, ma perché il nostro essere qui ora lasci un segno significativo anche per le generazioni di domani.
Pensiamo, come ci suggerisce Umberto Galimberti in “Psiche e techne. L’uomo nell’età della tecnica”, che siamo nella Storia non semplicemente nel Tempo: «Dire “tempo” non significa dire “storia”, perché la storia si costituisce nell’atto della sua “narrazione”, che ordina l’accadere degli eventi in una trama di “senso”. Il reperimento di un senso traduce il tempo in storia, così come il suo smarrimento dissolve la storia nel fluire insignificante del tempo»