VEDERE SÉ STESSI CON GLI OCCHI DEGLI ALTRI
Nel 1721 Montesquieu pubblica, in forma anonima, “Le lettere persiane”, un volume che, sotto forma di scambio epistolare fra due persiani che viaggiano in Europa, gli permette di “leggere” la realtà francese dell’epoca da una angolazione diversa: tutto cioè è descritto secondo moduli relativisti, adottando il punto di vista di esponenti di una cultura diversa da quella europea.
Questo testo, allora rivoluzionario, può essere preso da modello per uscire dalla posizione eurocentrica nella quale siamo ingabbiati da secoli e considerarci, per quello che realmente siamo, solo una porzione di mondo e “non la porzione di mondo più importante”.
La cartografia è la tecnica che ci consente di rappresentare graficamente lo spazio e quindi di “vederlo” su un foglio, ma come lo disegniamo, noi europei, lo spazio del mondo?
Il planisfero “classico”, utilizzato in tutti gli atlanti scolastici e presente, quindi, in ogni scuola, è quello basato sulla cosiddetta “proiezione di Mercatore” che, elaborata nel XVI sec. per i navigatori dell’epoca, risulta essere fortemente distorta: i territori dell’emisfero Nord sono sovradimensionati a discapito di quelli dell’emisfero Sud (Sudamerica e Africa) che, al contrario della realtà, appaiono notevolmente più piccoli.
Il centro della rappresentazione, inoltre, è l’Europa e così facendo l’Oceano Pacifico, posizionato in fondo a destra, appare ridotto rispetto all’Oceano Atlantico, mentre ne è due volte più grande. Inoltre, questo tipo di lettura dello spazio, Polo Nord in alto e Polo Sud in basso, ha generato la convenzione che arbitrariamente stabilisce “quella” posizione della Terra (e non altre).
Ora le scelte dei cartografi potrebbero anche essere semplicemente soggettive, ma, di solito, rappresentano la cultura e il sentire comune dell’epoca loro contemporanea e, cosa ancora più importante, sono in grado di influenzarle.
Studiare la geografia sulle mappe Mercatore induce gli europei a credere che la porzione di spazio da loro abitata sia la più importante così come i Cinesi (le cui mappe partono dalla Cina) fanno lo stesso per i loro territori.
Per questo gli australiani, da sempre relegati ai margini dei planisferi, hanno rivendicato la “loro centralità” con una particolare cartografia che, in maniera un po' curiosa, ci dice però che la Terra è veramente rotonda e che quindi ogni porzione ha “diritto di essere al centro”.
I Giapponesi, invece, propongono una lettura molto più ampia della rotondità della Terra permettendo uno spostamento visivo sferico completo e facendo ben capire come la parte più vasta del mondo siano le distese marine.
Tutte queste diverse posizioni ci devono indurre a riflettere sul fatto che non tutti i contenuti culturali sono universalmente condivisi e che è pericoloso considerare sempre i propri come gli unici in assoluto. Ciò è ancora più vero oggi che il mondo è e sta cambiando sempre più velocemente.
La domanda allora diventa: come preservare la ricchezza e la diversità delle culture locali in un mondo globalizzato? Possiamo resistere alla novità, ignorarla perché ci riteniamo già aggiornati, o accettarla acriticamente, oscillando tra la chiusura e un’apertura indiscriminata.
Ma gli atteggiamenti estremi non sono mai costruttivi: meglio riflettere e cercare di comprendere la nostra cultura da una prospettiva esterna, imparando dall'unicità di diverse concezioni del mondo.
Per la filosofia si tratta di esplorare “gli orizzonti fondativi delle diverse tradizioni” come ha già fatto nel 2014, in “Filosofie nel mondo”, V. Melchiorre che uscendo dai confini occidentali ha viaggiato verso l’oriente e le filosofie latinoamericana ed africana.
Per la cultura, in generale, può essere utile il suggerimento del politologo indiano Parag Khanna che ha recentemente coniato il termine “connectography” o “interconnesiografia” per dare voce ad una nuova interpretazione del mondo, incentrata sulle interconnessioni tra individui, città, regioni e nazioni.
O osservare la “Proiezione di Postel” (Visione polare del mondo) che, ci mostra più vicine cose che solitamente consideriamo e siamo abituati a vedere come lontane, e ci è estremamente utile per una nuova e più completa visione dei rapporti geopolitici mondiali.
Perché nulla è fisso per sempre, tutto muta nel tempo ed è sempre comunque relativo. Le radici sono molteplici e ciascuna, a suo modo, unica e preziosa.